Il finanziamento pubblico ai partiti è stato introdotto dalla legge Piccoli n. 195 del 2 maggio 1974, la quale ha interpretato il sostegno all'iniziativa politica come puro finanziamento alle strutture dei partiti presenti in Parlamento, ma con l'effetto di penalizzare le nuove formazioni politiche. Il flusso di fondi ha avuto anche l'effetto di rafforzare gli apparati burocratici interni dei partiti e disincentivare la partecipazione interna. Proposta da Flaminio Piccoli (DC), la norma venne approvata in soli 16 giorni con il consenso di tutti i partiti, ad eccezione del PLI.
Il fine della suddetta norma doveva essere quello di evitare scandali come quelli scoppiati nel 1965 e 1973 (Trabucchi e petroli), in quanto attraverso il sostentamento diretto dello Stato, i partiti non avrebbero avuto più bisogno di collusione e corruzione da parte dei grandi interessi economici. A bilanciare tale previsione, si era introdotto un divieto - per i partiti - di percepire finanziamenti da strutture pubbliche ed un obbligo (penalmente sanzionato) di pubblicità e di iscrizione a bilancio dei finanziamenti provenienti da privati, se superiori ad un modico ammontare. Ciò, tuttavia, risultò smentito dagli scandali affiorati successivamente (tra cui i casi Lockheed e Sindona).
Nel settembre 1974 il PLI propose un referendum abrogativo sulla norma, ma non riuscì a raccogliere le firme necessarie.
L'11 giugno 1978 si tenne il referendum indetto dai Radicali per l'abrogazione della legge 195/1974 e, nonostante l'invito a votare "no" dei partiti che rappresentavano il 97% dell'elettorato, il "si" raggiunse il 43,6%, pur senza avere successo. Secondo i promotori di quest'ultimo referendum lo Stato doveva favorire tutti i cittadini attraverso i servizi, le sedi, le tipografie, la carta a basso costo e quanto necessario per fare politica, ma non garantire le strutture e gli apparati di partito, che dovevano essere autofinanziati dagli iscritti e dai simpatizzanti.
Nel 1980, invece, una proposta di legge avrebbe voluto introdurre il raddoppio del finanziamento pubblico, ma venne messa da parte al momento dell'esplosione dello scandalo Caltagirone, con finanziamenti elargiti dagli imprenditori a partiti e a politici.
Successivamente, invece, la legge n. 659 del 18 novembre 1981 introdusse le prime modifiche consistenti nel raddoppio dei finanziamenti, nel divieto ai partiti ed ai politici (eletti, candidati o aventi cariche di partito) di ricevere finanziamenti dalla pubblica amministrazione, da enti pubblici o a partecipazione pubblica ed, infine, nella introduzione di una nuova forma di pubblicità dei bilanci, in base alla quale i partiti avrebbero dovuto depositare un rendiconto finanziario annuale su entrate e uscite, cosa non avvenuta mai nella realtà. I Radicali furono gli unici a manifestare in parlamento per bloccare la proposta di indicizzazione dei finanziamenti e per ottenere una maggiore trasparenza dei bilanci dei partiti, nonché controlli più efficaci.
Il referendum abrogativo promosso dai Radicali Italiani nell'aprile 1993 vide il 90,3% dei voti espressi a favore dell'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, in un clima di sfiducia a seguito dello scandalo di Tangentopoli. Nello stesso dicembre del 1993 il Parlamento, tuttavia, aggiornò, con la legge n. 515 del 10 dicembre 1993, la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. Per l'intera legislatura, infatti, vennero erogati in unica soluzione 47 milioni di euro. La stessa norma venne applicata anche in occasione delle successive elezioni politiche del 21 aprile 1996.
La legge n. 2 del 2 gennaio 1997, intitolata "Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici" reintrodusse di fatto il finanziamento pubblico ai partiti. Il provvedimento prevedeva la possibilità per i contribuenti, al momento della dichiarazione dei redditi, di destinare il 4 per mille dell'imposta sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici (pur senza poter indicare a quale partito), per un totale massimo di 56.810.000 euro, da erogarsi ai partiti entro il 31 gennaio di ogni anno. Per il solo anno 1997 venne introdotta una norma transitoria che fissava un fondo di 82.633.000 euro per l'anno in corso. Il Comitato radicale promotore del referendum del 1993 sull’abolizione del finanziamento pubblico tentò di ricorrere per violazione dell’esito referendario, ma gli venne negata dalla Corte Costituzionale, addirittura, la possibilità di depositare tale ricorso.
Sempre la legge 2/1997 introdusse l'obbligo per i partiti di redigere un bilancio per competenza, comprendente stato patrimoniale e conto economico, il cui controllo fu affidato alla Presidenza della Camera. La Corte dei Conti, invece, poteva controllare solo il rendiconto delle spese elettorali. L’adesione alla contribuzione volontaria per destinare il 4 per mille ai partiti restò, comunque, minima.
La legge n. 157 del 3 giugno 1999 intitolata, Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici, reintrodusse un finanziamento pubblico completo per i partiti. Il rimborso elettorale previsto non aveva infatti attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La legge 157 prevedeva cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa (l'erogazione veniva interrotta in caso di fine anticipata della legislatura). La legge entrò in vigore con le elezioni politiche italiane del 2001.
La normativa venne, poi, modificata dalla legge n. 156 del 26 luglio 2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che trasformò in annuale il fondo e abbassò dal 4 all'1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale. L’ammontare da erogare, per Camera e Senato, nel caso di legislatura completa, invece, passò da 193.713.000 euro a 468.853.675 euro.
Infine, con la legge n. 51 del 23 febbraio 2006, l’erogazione venne riconosciuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Con quest’ultima modifica l’aumento diventò esponenziale. Con la crisi politica italiana del 2008, i partiti iniziarono a percepire il doppio dei fondi, considerato che ricevevano contemporaneamente le quote annuali relative alla XV Legislatura della Repubblica Italiana e quelle relative alla XVI Legislatura della Repubblica Italiana.
A seguito degli scandali che nel Marzo 2012 portarono alle dimissioni di numerosi esponenti del partito della Lega Nord (e non solo), accusati di usare i soldi dei rimborsi elettorali per scopi privati, l'opinione pubblica risollevò il problema dei finanziamenti statali ai partiti che, a tutt'oggi, sembra di difficile risoluzione.